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IL GHETTO ED IL MUSEO EBRAICO
Nei primi decenni del 1500 il Governo della Serenissima stabilì però che gli Ebrei dovevano vivere tutti assieme in una zona precisa
e isolata, detta “Ghetto Nuovo”.
La parola “ghetto”, dal veneziano “geto”, cioè gettata di metallo, deriva dal fatto che in questa
parte della città c’erano le fonderie che “gettavano” i metalli fusi per fabbricare i cannoni.
Questo termine, usato all’inizio solo a Venezia per indicare la zona dove vivevano gli Ebrei, fu poi utilizzato in tutta Europa per indicare il quartiere dove era obbligata a risiedere, separata dagli altri, tutta la gente ebrea.
In certi punti il Ghetto aveva anche delle grandi porte: alla sera queste venivano chiuse, perciò gli abitanti erano obbligati a rientrare nel ghetto a una certa ora; al mattino gli ingressi venivano riaperti e gli Ebrei potevano circolare liberamente.
Nei secoli, allargandosi la comunità ebraica, i ghetti diventarono tre, così chiamati: Ghetto Novo, Ghetto Vecchio, Ghetto Novissimo.
Ogni gruppo ebraico, che proveniva dallo stesso paese d’origine, costruì la propria Sinagoga, cioè l’edificio dove i vari membri si potevano incontrare per riunirsi e per pregare; così si innalzarono la Sinagoga tedesca, svizzera, levantina, cioè orientale, spagnola, detta ponentina, e quella italiana.
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Già dal 300-400 d.C. in Veneto esistevano piccole comunità ebraiche.
Dopo l’espatrio degli Ebrei dalla Spagna, avvenuto nel 1492,
molti Ebrei si rifugiarono in Italia e soprattutto a Venezia; all’inizio qui gli abitanti dell’insediamento ebraico godevano di una
certa tolleranza e per questo aumentarono presto di numero, tanto che gli edifici, essendoci poco spazio disponibile per nuove costruzioni,
vennero ingranditi in altezza: varie case contano addirittura otto piani.